Synth Cafè intervista: CENTRAL (Giuseppe De Francesco)

“Mi chiamo Giuseppe De Francesco, sono nato a Messina nel 1983 e faccio musica elettronica, il mio progetto si chiama CENTRAL. Ho scritto e registrato un album dal titolo Variazioni Sui Due Mari, pubblicato il 7 Maggio 2018 dalla Nostress Netlabel.

Realizzato tra il Settembre del 2016 e il Febbraio del 2018, questo album è una raccolta di composizioni strumentali che esplorano le aree di intersezione tra l’ambient, la musica sinfonica e quella sperimentale. Il focus artistico di tutto il lavoro è incentrato sullo scenario dello Stretto di Messina, che è il paesaggio su cui oriento lo sguardo in ogni mia giornata e di cui, spesso, osservo certi fenomeni atmosferici molto caratteristici: un cambio di densità dell’aria; il viraggio dei colori verso le tonalità calde durante le giornate di scirocco; il cielo e il mare che, nelle ore di passaggio fra la luce e il buio, condividono la stessa, identica, tonalità di blu; oppure le diverse increspature delle onde a seconda dei venti e delle correnti. Inoltre, quest’area geografica è caratterizzata da una forte dualità che è insita nella sua stessa natura: i due mari, lo Ionio e il Tirreno; le due sponde, la Sicilia da un lato e la Calabria dall’altro; e anche la mitologia di Scilla e Cariddi. Tutte queste suggestioni le ho colte, le ho filtrate con la mia emotività e infine ho provato a trasformarle in musica.”

S.C.: È vero, la presenza del “mare” nel suo esser così vasto, profondo, è assolutamente avvertibile nelle tracce. Potremmo quasi definire questo album un “dipinto musicale in continuo mutamento”.

C: In questo album ho cercato di ricreare una rappresentazione sonora di quello che accade quando si osserva un paesaggio, nello specifico, appunto, lo Stretto, che, pur restando immutabilmente se stesso, cambia a poco a poco le sue caratteristiche in relazione ai fenomeni atmosferici che lo coinvolgono, fino a modificarsi in modo lento, progressivo ma sostanziale. Da qui la scelta della parola Variazioni, da intendere sia come “fenomeno” atmosferico, che come regola musicale, che ho applicato, ad esempio, nella traccia che dà il titolo all’album.

Credo che siano proprio le immagini a fornire i primi input compositivi, il suono arriva subito dopo ed è sempre condizionato dalle immagini, siano esse astratte, oppure legate a uno scenario specifico. Per scrivere Variazioni ho scelto di immergermi in un’area della mente in cui confluivano immagini più o meno reali, o comunque modificate dalla memoria, di luoghi e spazi in cui ho vissuto e in cui tuttora vivo; qualcosa di simile vorrei che si replicasse nella mente di chi ascolta; mi piace pensare che, con questi questi brani dentro le cuffie, ognuno possa sperimentare un diverso fluire di immagini a seconda della propria sensibilità, assistendo alla proiezione mentale del suo film personale, oppure, come nel tuo caso, visualizzando un “dipinto musicale”.

S.C.: Cos’hai usato durante la produzione, di questo album? Sembra bello pieno di strumenti.

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C.: Ho usato davvero ogni tipo di strumentazione, sia analogica che digitale, sia hardware che software, in modo felicemente indistinto. La mia DAW principale è Reason, su cui ho fatto le registrazion, gli arrangiamenti e i mix; gli strumenti che ho utilizzato maggiormente sono il synth Thor; i Korg Volca; il Nanozwerg della MFB; un registratore Portastudio 4-Track della Tascam, i Reface della Yamaha CS e CP; il Beatstep Pro, con cui ho costruito delle sequenze; altre sequenze invece le ho sviluppate con l’Elektron Digitakt che mi è servito per campionare e ricombinare delle parti di pianoforte regi-strate suonando sul mio Steiner a muro. Per quanto riguarda gli effetti hardware ho usato l’Holy Grail della Electro Harmonix per alcuni riverberi; un harmonizer a pedale della Behringer per co-struire somme di strati armonici; infine il Moog MIDI MURF con cui ho trattato alcune parti di chi-tarra elettrica. E ovviamente tantissimi altri effetti e synth interni di Reason, rack extension e plugin. Nelle fasi di arrangiamento e mix, lavoro sempre con moltissime tracce, sia audio che MIDI, non amo fare bounce, preferisco lavorare sulle singole tracce per mantenere un margine di editing suffi-cientemente ampio, sperando ogni volta di rientrare nelle capacità del buffer che, specialmente nelle fasi finali di produzione dei brani, è impostato al massimo. Per quanto riguarda la fase di finalizza-zione, i mixdown sono stati portati in uno studio professionale, caricati su Pro Tools, passati su banco analogico, ulteriormente equalizzati, riverberati in parallelo, e infine riacquisti nuovamente in Pro Tools.

S.C.: Si sente parecchio la parte analogica e la volontà di fare tutto su nastro nei tuoi brani. Cosa ti ha spinto lavorare su questa direzione? È da tanto che lo usi? Ti affidi anche ad emulazioni?

C.: Credo che oggi il nastro magnetico sia diventato una delle tante opzioni artistiche di cui un musicista può disporre. Il Portastudio 4-Track della Tascam l’ho comprato quando Variazioni era ormai quasi tutto scritto e registrato, ma il suo workflow mi ha entusiasmato a tal punto che ho deciso che prima di chiudere la produzione dell’album avrei dovuto sviluppare altre idee musicali proprio con questo sistema, mi è quindi servito per registrare delle tracce di synth in maniera da conferire al suono tutte le caratteristiche e le qualità che un’audiocassetta può offrire, rumore di fondo compreso, per poi registrare e mixare nuovamente tutto digitalmente; i pezzi Elir e Omissis li ho realizzati proprio in questo modo.

Ho anche utilizzato un’emulazione, nello specifico il J37 Tape Saturation della Waves, che ha una bellissima funzione chiamata “WOW”, una sorta di LFO sul pitch della sorgente sonora, che funziona molto bene sulle tracce di pad o di archi, e che ho utilizzato un po’ su tutti i brani.

S.C.: Mi hai raccontato di alcuni ascolti che hai fatto durante la creazione dell’album

C.: Durante la lavorazione dell’album ho ascoltato tanta roba tutta diversa, mi vengono in mente Wil-liam Basinski, i Boards Of Canada il catalogo Warp, Brian Eno e i suoi lavori con Harold Budd, Jon Hopkins, Robert Lippok, Ryuichi Sakamoto, Lucio Battisti, Franco Battiato, i lavori solisti di John Frusciante, molta musica classica tra cui Bach in particolare, e tanto altro che non riesco neanche più a ricordare. Sono musicalmente onnivoro.

S.C.: Che idea ti sei fatto dei social?

C.: La mia idea è che sono una grandissima opportunità di conoscenza e condivisione delle informa-zioni, a patto che ne venga fatto un uso consapevole e si riconoscano certe meccaniche, soprattutto quelle legate agli algoritmi. Synth Cafe mi sembra un esempio felice di un utilizzo libero, costruttivo e funzionale dei social, proprio perché alla base vi è una comunità che è tenuta insieme dalla voglia di condivisione e di crescita. Più in generale, vedo Facebook come un sistema che, dopo oltre dieci anni di esistenza nella nostra quotidianità, ha ormai svelato potenzialità e limiti al contempo; è ottimo per seguire le attività degli artisti, i live, le recensioni della strumentazione più nuova in commercio, e per capire cosa succede nel nostro ambito a livello planetario; sarebbe però un errore credere che sia l’unico spazio dove far crescere la nostra proposta artistica, soprattuto se questa è reale e slegata dall’immagine fine a se stessa.

S.C.: Ad oggi come cosa pensi che debba avere un musicista per “uscire” fuori dalla propria camera?

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C.: Credo che una cosa che accomuna molti di noi musicisti di elettronica sia la possibilità fare tutto a casa, non solo nella fase creativa, ma anche in molte altre fasi successive; questa è tanto una grande opportunità quanto un grande limite: fare musica in autonomia vuol dire essere realmente liberi di esprimersi ma con il rischio di trovarsi a un certo punto isolati: quindi la mia idea è che non ci si debba mai stancare di uscire, cercare il contatto umano, condividere, andare ai concerti, frequentare le scuole di musica che ormai, credo, si stanno aggiornando su linguaggi più contemporanei come l’elettronica, la produzione e il DJing, e conoscere di persona chi, nella propria città ma anche fuori, condivide le nostre stesse passioni, o che magari abbia altre passioni artistiche non necessariamente musicali, per poi, se possibile, creare delle collaborazioni. Alla fine, sono sempre i rapporti umani reali che moltiplicano le opportunità di crescita di un artista.

Un Grazie a Giuseppe De Francesco

Variazioni Sui Due Mari, insieme a tutta la mia discografia, è liberamente disponibile su:

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